18 Maggio 2020

Variety intervista Hayley Williams su Petals for Armor

In un Q&A per Variety, la cantante approfondisce i lati più oscuri per arrivare alla speranza floreale, implicita nel titolo del suo primo album solista.

Lior Phillips di Variety ha intervistato Hayley Williams su Petals for Armor, primo album da solista della cantante. 

Qui sotto la traduzione dell’articolo originale

Quando hai deciso di scrivere un album da solista, in che modo ti sentivi diversa dai Paramore?

Non mi piace molto stare sotto i riflettori. È il modo più semplice per dirlo. Penso che non sia troppo diverso dallo scrivere un disco dei Paramore perché mi sento sempre: “Oh cavolo, è la cosa migliore che abbiamo fatto e non faremo di meglio”. Questo mi ha messo in difficoltà e mi ha motivato. Penso che [Taylor ed io] abbiamo avuto abbastanza esperienza come partner di scrittura da sapere che arriveremo da qualche parte. Dobbiamo solo spingere. E funziona sempre. Grazie a Dio.

Sto cercando di capire come mostrare parti di me stessa in modo aggraziato, ma non sono sicura che ci sia davvero un modo aggraziato. Penso che si debba solo andare avanti e sapere che le persone non capiranno ogni parte di te. Alcune persone ti prenderanno completamente per il verso sbagliato e, se sei fortunato, qualcuno ci guadagnerà qualcosa perché si relazionerà con te.

Perché hai deciso di pubblicare l’album in tre parti?

Stavo quasi per rimandare l’album ma poi ho deciso di non farlo. Invece di rinviarlo, ho voluto pubblicare le canzoni individualmente. In questo modo ho il tempo di riflettere su ogni conversazione che viene fuori. Posso farle vivere in quel mondo per qualche giorno e mi darà qualcosa su cui concentrarmi e, si spera, mi aiuterà a mettere in evidenza quelle canzoni. Forse la gente troverà qualcosa che altrimenti non avrebbe trovato, e allora potremo avere delle conversazioni continue.

Sono passate comunque molte settimane da quando ho preso questa decisione e ho avuto alcuni momenti di dubbio e di rimpianto. Non c’è un libro di regole per questo, ma sembra la cosa giusta.

È un grande passo nella tua carriera fare un disco da solista. Pubblicare l’album nel bel mezzo di questa pandemia ha cambiato la tua prospettiva?

Mi sto ricordando costantemente che il disco uscirà, ma sono ancora me stessa. Non mi salverà. Non renderà la mia vita improvvisamente migliore perché c’è un cartellone con la mia faccia da qualche parte in una città dove nessuno può camminare. In realtà è un ottimo esempio di quanto poco importa di queste cose. Le canzoni sono ciò che conta. Devo ricordarmelo alla fine della giornata e poi cercare di prendermi cura di Hayley, la persona fisica, e poi di tutte le relazioni della mia vita in cui mi investo e per le quali voglio esserci.

Hai trovato lo spazio per te stessa per valutare le canzoni, piuttosto che vivere dentro di loro?

Ho elaborato alcune canzoni e ho estratto tutto l’oro da quelle lezioni, ma poi la vita non funziona davvero così, giusto? La guarigione è più simile a una spirale che a una linea. Vorrei poter scrivere una canzone sul voler essere innamorata e sentirmi speranzosa nel superare le mie paure e far sì che questa sia solo la fine. Ma ora che mi sto prendendo cura della mia depressione o almeno mi sono presa la responsabilità della mia salute mentale, è più facile accettare la realtà che la vita ha colline e valli e non essere così triste fino a sentirsi come se non ci fosse uno scopo da vivere.

In “Watch Me While I Bloom”, canti: “If you feel like you’re never gonna reach the sky till you pull up your roots, leave your dirt behind”. Il tuo testo può essere intricato. In che modo il fraseggio e la precisione sono diventati così essenziali per la tua carriera di autore?

Cavolo, ho aspettato a lungo di poterlo dire e crederlo sul serio. Il mio primo strumento è stata la batteria, quindi mi interessa molto il modo in cui pronuncio le parole ed enfatizzo le sillabe all’interno di un ritmo. Gran parte del suono dei Paramore deriva da ritmi sincopati e poliritmi. Zac [Farro, batterista] e Taylor [York, bassista] sono bravissimi in quello che fanno, e io trovo il modo di intrecciarmici. Ho fatto la stessa cosa con “Petals for Armor”. Cerco sempre di dire la sensazione che provo nel modo più poetico possibile, ma poi mi assicuro che si inserisca all’interno esattamente come voglio io. Ci sono altre canzoni in cui non voglio che si adatti affatto. Questo ritornello fa molto Janet Jackson. Sto cercando di beccare tutte le note giuste con le mie parole. E poi la seconda strofa, la lascio scorrere, come se fosse psichedelica.

Quella proprietà della voce e dell’espressione cruda fa in qualche modo eco all’epoca di Sugarcubes di Björk.

C’è una qualità nella voce di Björk prima che iniziasse a disciplinarsi, in Sugarcubes e sul suo primo materiale da solista. Ho una voce rauca quando non me ne prendo cura perfettamente, e volevo lasciare che la mia voce prendesse questa direzione per canzoni come “Sugar on the Rim” o “Sudden Desire”. Ho imparato a cantare in un modo che non riduca la mia voce a brandelli, come ho fatto quando urlavo per i Paramore. In realtà sono andata completamente all’indietro: non mi sono riscaldata per niente. Sono stata molto attenta a non pensare troppo alle mie tecniche. Scrivevo melodie che incoraggiavano un sacco di toni diversi dalla mia voce, senza appianare tutte le piccole e belle crepe.

Ci sono anche molte metafore visive: un autolavaggio su “Why We Ever”, il bagno in “Cinnamon”. Perché l’acqua è simbolica?

Uso sempre metafore sull’acqua per descrivere le relazioni. Lo faccio da quando ero bambina. Sono orgogliosa di “Crystal Clear” per tanti motivi. Volevo scrivere una canzone come quella con Taylor su “After Laughter” [l’ultimo album dei Paramore del 2017]. C’era una canzone chiamata “Pool” che parlava della mia relazione di allora, che non era salutare. È stato bello riscattare “Pool” con “Crystal Clear” ed essere in grado di dire che credo nel tuffarmi in qualcosa di sano. Ci saranno ancora acque torbide, ma alla fine è più profondo, è più ricco e vale la pena di tuffarsi.

C’è una libertà che deriva dall’essere amati per quello che si è, con tutta la propria oscurità intatta. È un tipo di amore esterno che tutti noi meritiamo. Dovremmo tutti lottare per trovarlo, anche se ci vogliono milioni di tentativi. C’è anche l’amore che si dona a se stessi, ed è più interiore, che si sente sempre dentro di sé. Sembra più facile, ma è quello più difficile. Sei tu che ne hai il controllo.

Quali barriere creative del lavorare in una band stavi cercando di abbattere?

La prima canzone che ho finito riguardava la rabbia, e quando ho iniziato a scriverla ho pensato che riguardasse l’idea generale di cosa significhi sentirsi arrabbiati. Poi sono arrivata al coro e ha iniziato a mostrarmi altre parti di me. Mi ha spinto fino alle parti più profonde della mia psiche, gli angoli della mia anima su cui non volevo far luce. Mi ha aiutato a liberare un po’ di spazio in modo che potessi avere compassione per me stessa ed empatia per gli altri che prima non avevo. Quella canzone parla degli abusi che le donne della mia famiglia hanno subito, scritta ai tempi del movimento Me Too. “Dead Horse” è stato un altro grande momento in cui ho finalmente ammesso a me stessa quanto mi vergognassi delle scelte che ho fatto quando ero più giovane. Sono molto sincera sul fatto di rimanere in una relazione che era super-tossica perché è iniziata con me che ero l’amante. Mi sentivo come se avessi bisogno di riscattarla rimanendo nei paraggi. Invece di lasciare che le mie scelte mi possedessero e mi tenessero chiusa nella mia testa, l’ho tirata fuori. E se a qualcuno non piace, mi sono odiata abbastanza per queste scelte. Non posso accettare una doppia punizione.

Cosa ti serviva dalla tua squadra per spostarti in quello spazio?

La terapia è stata la motivazione iniziale, una modalità chiamata EMDR. Siamo così intrappolati nelle nostre stesse menti, ma ci sono strumenti e percorsi che le persone possono prendere per assumersi davvero la responsabilità di ciò che stanno passando e uscire dalla loro prigione mentale. È stata un’enorme fonte di guarigione per me. Sono stata anche circondata dalla mia comunità. Anche se non è un disco dei Paramore, ho ancora lì Taylor, che ha camminato con me attraverso tante cose pesanti. Joey è un grande amico per me e ci siamo avvicinati molto di più quando è andato in tour con la band e ha scritto canzoni insieme. Lindsey, il mio direttore creativo, è una delle mie migliori amiche al mondo. Non so come fare queste cose senza la comunità e voglio essere così per gli altri.

C’è stato un momento durante il processo di registrazione che ti ha completamente sorpreso?

La seconda strofa di “Simmer” – ho dovuto andarmene e piangere. Stavo tremando quando abbiamo fatto la demo. C’era davvero troppo che doveva uscire. E poi ci sono altre storie divertenti, come “Sugar on the Rim”. Stavo pranzando con il mio amico Brian e hanno messo lo zucchero sul bordo del suo margarita al posto del sale, e ci scherzavamo sopra. Dopo pranzo, sono andata nello studio di Taylor e volevo solo fare qualcosa di folle, così abbiamo scritto un brano dance. Ci siamo guardati e ci siamo detti: “Ma che cazzo stiamo facendo? Come siamo passati da ‘After Laughter’ a questo?”. Questi sono i momenti per cui vivo davvero. Voglio sorprendermi. Voglio sorprendere i fan dei Paramore e gli altri ascoltatori. Non ci dovrebbe mai essere un piano ben pensato.

Dopo aver cantato di eventi dettagliati, sensibili e reali, ci sono state conseguenze per questo nella tua carriera?

Ho notato commenti più sessisti da quando ho pubblicato “Simmer” e altre canzoni più arrabbiate. La rabbia femminile ha fatto emergere qualcosa che non ho sempre amato vedere nelle mie menzioni su Twitter. Lo faccio da tanto tempo e ho ricevuto alcuni commenti di mer*a, anche mentre cantavo sul palco dalla folla. Ho sempre reagito e ho sempre cercato di essere al di sopra di tutto questo. Ma avere 31 anni e affrontare alcune di queste cose è una sensazione completamente diversa. Non mi piacciono i commenti strani e sessisti o le spiegazioni su come affrontare la mia carriera dopo averlo fatto per 15 anni.

Come si è rafforzata la tua volontà di essere un’artista? Quali sono le cose di cui hai bisogno?

Wow. È una domanda così meravigliosa ed empatica. Ogni giorno è un po’ diverso, quindi i miei bisogni possono diventare imprevedibili. Ci sono molte storie sul disco che sono profondamente personali, e la gente sa molto di me perché sono una scrittrice, ma la gente non sa ancora tutto. Non ho messo in mostra ogni singola parte. Vedere le idee a fondo, seguire la propria curiosità, e stare bene con il disagio è un modo davvero bello di atterrare musicalmente su un nuovo pianeta. Ci sono sicuramente momenti in cui rabbrividisco un po’, ma spero che questo arrivi a qualcuno che sta attraversando la stessa cosa – e che possa sentire un po’ di conforto. Onestamente, non mi sembra di passato oltre “Petals for Armor”. Lo sto ancora vivendo. Il libro non è finito e non c’è un bel fiocco a cui legarlo.